lunedì 8 agosto 2011

Tunisia anno zero

Su D-Donna, supplemento settimanale a La Repubblica, nel numero dell’11 giugno c’era questo bel reportage sulla libera Tunisia.
Vi do anche i link in PDF alle singole pagine, per poter apprezzare anche le belle foto.
Tunisi oggi è un concentrato di gioventù e voglia di democrazia. Se l’Italia avesse un governo con una vision sul futuro, dovrebbe aiutare la Tunisia ad essere se stessa: una fresca democrazia, il  partner ideale nel nuovo Mediterraneo.







"Liberté!" e poi?

TUNISIa anno zero Le coscienze politiche dei giovani tunisini sono tante. Almeno 63, come i partiti che si presenteranno alle prime elezioni libere (di fine luglio)
di Irene Alison

“Sbrigati, siamo già tutti qui!". Mentre parla al cellulare, la voce sottile di Azza Tajini si alza ancora di tono, per superare le urla della folla. Il vento, che porta fino a Tunisi la sabbia del deserto, le scompiglia i capelli. Le labbra sono lucide di rossetto. Ha 22 anni. In una mano tiene l'iPhone. Nell'altra il ritratto di Stalin. Intorno a lei, circa duecento persone. Tutti giovanissimi. C'è chi si è messo una bandiera rossa sulle spalle, come il mantello di Superman, e chi tiene in alto lo striscione con la scritta "Demission" per ricordare a qualche cariatide dell'ancien régime che è ora di mollare la poltrona.

Funziona così, nella Tunisia post-rivoluzionaria: ognuno può dire quello che pensa. E, nonostante i manganelli dei poliziotti schierati dall'altro lato dell'avenue Habib Bourguiba, ognuno può scendere in strada a gridarlo. Azza e i suoi lo fanno con quanto fiato hanno in gola. Si sentono liberi. E impazienti: per una generazione che aggiorna il proprio status ogni quarto d'ora, il mito della "rivoluzione dei gelsomini" - che già si celebra nei negozi del suq con t-shirt, tazze e calendari - ormai è storia.

"Ma quale rivoluzione?", dice Belir, 29 anni. "Il 14 gennaio abbiamo soltanto cacciato un tiranno, il suo establishment è rimasto al comando. E il cammino per la democrazia è ancora lungo". Un cammino che passa per le elezioni del 24 luglio (ma la data potrebbe cambiare ancora). Per i lavori dell'Assemblea costituente sulle nuove regole di un paese che, dopo aver acceso la miccia della ribellione che ha incendiato Medio Oriente e Maghreb, deve scegliere verso dove andare. Passa intanto per le sedi dei 63 nuovi partiti politici legalizzati nell'euforia pluralista della neonata democrazia, dove militanti di vent'anni o poco più, allevati nell'oblio dalla dittatura, provano a inventarsi una coscienza politica. Fotocopiano volantini, scrivono slogan, citano Mao e Maometto. Ci credono - poco importa in cosa - perché hanno bisogno di credere. E di capire come usare questa libertà.

Al numero 2 di Rue du Caire, Imem, 25 anni, fa funzionare senza sosta la stampante. Sui tavoli della sede del Partito socialista i manifesti si accumulano in pile compatte. C'è odore di vernice e l'eco delle stanze vuote. Il partito, uscito dalla clandestinità quattro mesi fa, ha appena trovato casa in questo vecchio palazzo della Ville Nouvelle.
Imem, però, era pronta da un pezzo: "Il mio apprendistato politico è cominciato a sette anni, sui libri. Ho letto il Corano e i Vangeli, Sartre, la grande letteratura araba e i romanzi francesi. Da adolescente, ero contro tanto per essere contro. Poi, crescendo, ho capito perché: il paradosso del vecchio regime è che ci ha dato gli strumenti per ribellarci. Abbiamo uno dei sistemi educativi più avanzati d'Africa. E la cultura ci ha resi consapevoli". Oggi, con Sufian e Mountar, compagni di partito, Imem porta la campagna elettorale nella ricca periferia di Tunisi, all'uscita di un centro commerciale. Allunga volantini alle signore della borghesia che barcollano sui tacchi fuori dal supermercato con le buste piene, alle adolescenti che affollano i camerini dei negozi alla moda. "È anche per questo che faccio politica, per garantire loro il diritto di mettere la minigonna, bere una birra, fare sesso prima del matrimonio. Ma, soprattutto, per poter andare in giro con i miei amici musulmani, ebrei o cristiani, senza che la religione ci divida".

Tra i fantasmi che si aggirano per la Tunisia libera, c'è quello dell'integralismo islamico. E, se lungo i confini di sabbia l'esercito respinge i militanti di Al Quaeda nel deserto, nelle città cresce la popolarità di Ennahda, partito musulmano perseguitato dalla dittatura e oggi dato per favorito nei sondaggi. "Non ho fatto la rivoluzione per essere costretta a portare il velo", dice Imem. "Per strada, il 14 gennaio, nessuno gridava il nome di Allah. Oggi, Ennahda fa leva su Dio per parlare alla parte più spaventata del paese: disoccupati, poveri, chi non ha strumenti per maturare una coscienza critica. Dicono di essere moderati, ma se andranno al potere chi ci assicura che non diventeremo un altro Iran?".
Cortile dell'Università di Tunisi: una piccola folla di ragazze sciama fuori dall'aula di chimica, camici bianchi e capo coperto dall'hijab. Lasciano una scia di profumo, risate, commenti. Scambiano sguardi di intesa con i compagni di partito che, dal palco, fanno gracchiare i microfoni in attesa di cominciare il comizio. Viste da vicino, le giovani militanti di Ennahda non hanno niente di integralista. Piuttosto, un velo di rimmel e le troppe certezze che puoi avere a vent'anni. Sotto il camice, Chaima, 22 anni, svela un fumetto che si è disegnata col gesso sul lungo abito nero. Feineb, 20, si sistema il fermaglio di strass che tiene fermo il velo azzurro intorno al suo viso. Myriam, 23, nata in Francia da genitori tunisini e arrivata da Parigi per una vacanza studio, prende la parola per prima: "Sono cresciuta in Europa, studio, sto per laurearmi. Mio padre, esiliato da Ben Ali, ha sempre militato in Ennahda, eppure mi ha mandato qui da sola, in totale autonomia. Dicono che il nostro partito non riconosce i diritti delle donne: e io, allora?".
Anche Baraa, 22 - chiara come una svedese, ma in realtà viene dal profondo sud della Tunisia - vuole dire la sua: "Siamo stati perseguitati da Ben Ali, alle nostre donne era proibito portare il velo nei luoghi pubblici: se Ennahda andrà al potere, la Tunisia sarà un paese pluralista, senza discriminazioni sessuali né religiose. Sono donna, musulmana, militante e membro attivo della società: non ho studiato per stare a casa coi bambini". Anche Baraa è fiera del suo velo - "nessuna imposizione della famiglia, ma da dopo la rivoluzione sono finalmente libera di esibire i simboli della mia religione".

Dall'altra parte della città Narimene si nasconde sotto una lucida frangetta nera: a 19 anni, pare una bambina, dietro la grande scrivania dell'ufficio dei Verdi per il progresso. A casa sua, il velo lo portano tutte: nonna, madre e sorella minore. Ma lei, travolta a 16 anni dalla fede ecologista, ha deciso che l'hijab non era pratico per salvare le balene. "Ho conosciuto i militanti di Greenpeace e mi sono interessata al loro lavoro. Prima non mi ero mai preoccupata di ambiente, in Tunisia l'ecologia non è mai stata una priorità: a chi importa del pianeta quando non c'è cibo da mettere a tavola?".
Per la sua famiglia, negli alti ranghi del partito dell'ex dittatore, la politica era una cosa seria: "Credevano che per me fosse un gioco, una fissazione da ragazzina". Eppure, oggi, quando Narimene siede nei dibattiti tv come rappresentante dei giovani Verdi (che da dopo la rivoluzione ha visto triplicare gli iscritti), i suoi la guardano con orgoglio. "Grazie alla mia generazione, anche gli adulti cominciano a capire dove passa la strada per il futuro".

Il prossimo 24 luglio, anche Salem, 17 anni, dirà ai suoi genitori per chi andare a votare. "Si fidano di me: da grande diventerò Che Guevara". Alla politica ha iniziato a giocare quando era poco più che un bambino: ""È l'anticamera del carcere", dicevano i miei. E io allora scappavo di casa per andare in sezione". Oggi se ne sta lì con la pettorina bianca segnata dal logo del Pdp (Partito democratico progressista), a distribuire informazioni e sorrisi davanti allo stadio di Sfax, nel giorno della convention del partito. Sono 4mila quelli seduti sugli spalti che guardano il mare, agitano i cappellini gialli e battono le mani a Néjib Chebbi, fondatore del partito e storico oppositore di Ben Ali. Madri, padri, nonni e bambini che inseguono palloncini randagi, universitari col quaderno degli appunti e ragazzini con la faccia da teppisti. Tutti a fare eco al leader: "Né comunisti né islamisti, l'alternativa siamo noi". In effetti questo partito di orientamento social-democratico che dal 1988 si è ostinato a lavorare ai fianchi il tiranno, sembra l'unico reale contrappeso all'avanzata degli islamici. "Non abbiamo mai rinunciato a lottare, e all'esilio abbiamo preferito la galera e la tortura".

Nell'autobus che riporta a Tunisi i giovani militanti arrivati dalla capitale, anche Aymed, 25 anni, si dà da fare come uno che ha una missione da compiere: fa l'appello, controlla i nuovi tesserati, distribuisce acqua e biscotti con la faccia tesa di chi si sente investito da una grande responsabilità. "Faccio fatica a capire chi lascia la Tunisia adesso. Qui è dura, ma c'è tanto da fare: abbiamo un paese da ricostruire, una nuova democrazia a cui educarci". All'arrivo a Tunisi, a tarda sera, i sedili sono pieni di briciole e le voci sono rauche. Sembra la fine di una gita scolastica. Per ognuno che scende, gli altri gridano "Degage! Fuori!", come si faceva in piazza durante la rivoluzione. Ridono. Sono solo ragazzi. E anche le rughe sulla fronte di Aymed si distendono. "Tutto ciò che voglio è vivere in un paese sorridente. Non mi sembra di chiedere troppo".

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